De Felice e il suo magistero. “Per una storia senza pregiudizi”, di Francesco Perfetti


Renzo De Felice (Getty)
il libro
L'analisi dell'approccio storiografico di Renzo De Felice e la sua metodologia incentrata sulla comprensione dei fatti storici senza pregiudizi. Il libro di Perfetti esamina l'influenza duratura dello storico nella disciplina e nel dibattito sul fascismo
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A poca distanza da un importante volume dedicato alla figura di Augusto Del Noce, Francesco Perfetti consegna al lettore un’altra opera su un altro grande studioso italiano del Novecento. Si tratta dello storico Renzo De Felice (1929-1996), il cui magistero storiografico risulta ancora oggi, purtroppo, divisivo. In "Per una storia senza pregiudizi", il realismo storico di Renzo De Felice, pubblicato dall’editore torinese Nino Aragno, Perfetti ricostruisce l’itinerario storico-intellettuale dello studioso del fascismo mostrandone tutta l’importanza, sia in termini di risultati raggiunti sia dal punto di vista della metodologia che sarebbe meglio seguire quando si vuol fare lo storico. Fin dalla prefazione, però, l’attuale presidente della Giunta storica nazionale dà conto anche del lato umano di De Felice. Schivo e ostile alla mondanità, Perfetti ne ricorda il primo incontro, avvenuto grazie a Del Noce, dal quale sarebbe poi scaturito un lungo sodalizio. Come molti altri, De Felice fu in gioventù marxista e anche iscritto al Pci. Un’esperienza che rivelerà essere stata altamente istruttiva: “l’essere stato marxista e comunista mi ha immunizzato dal fare del moralismo sugli avvenimenti storici”. Laureatosi a Roma con Federico Chabod, De Felice divenne borsista presso l’Istituto italiano per gli Studi storici fondato da Benedetto Croce. Non furono tanto le frequentazioni liberali napoletane, quanto piuttosto gli avvenimenti del 1956 ad allontanarlo definitivamente dalla religione politica comunista, di cui già prima, come si evince da una lettera inviata a uno dei suoi maestri, Delio Cantimori, aveva messo in dubbio il “carattere rinnovatore”. E proprio grazie a una sollecitazione di Cantimori lo studioso nato a Rieti – città che da quest’anno, insieme alla Fondazione Spirito-De Felice diretta da Andrea Ungari, bandisce un premio proprio in suo nome – avrebbe iniziato a studiare, dopo essersi dedicato al giacobinismo italiano, la figura di Benito Mussolini e il “fenomeno fascista”.
Per De Felice, fare storia significa cercare di comprendere, e non giustificare né tantomeno pregiudizialmente valutare gli avvenimenti accaduti. E questo lo si può fare solo a patto di “emancipare la storia dall’ideologia, di scindere le ragioni della verità storica dalle esigenze della ragion politica”. A De Felice, ricorda Perfetti, fu addebitata una certa simpatia per il fascismo. Un giudizio, a conti fatti, del tutto falso, ma che è dovuto ad alcune tesi defeliciane difficili da digerire: tra queste, che il fascismo non sia stato un fenomeno monolitico, ma che includesse in sé pure una componente rivoluzionaria di sinistra e in certo modo una componente dedita al culto del progresso, e che tra nazionalsocialismo e fascismo permanessero diversità, se non proprio antitesi, tali per cui se il primo poteva essere classificato come totalitario il secondo non poteva esserlo a pieno titolo. De Felice era critico dell’idea che la storia potesse condursi attraverso giudizi o pre-giudizi morali: “I discorsi in chiave morale applicati alla storia, da qualunque parte vengano e comunque siano motivati, provocano in me un senso di noia, suscitano il mio sospetto nei confronti di chi li pronuncia e mi inducono a pensare a mancanza di idee chiare”. L’ultimo incontro intellettuale, ricorda Perfetti, è quello con François Furet e in particolare con Il passato di un’illusione (1995). Come Furet, anche De Felice era oggetto sistematico di polemiche. Forse perché studioso libero, forse, ricorda lo storico, “perché sono un ex comunista, e agli ex si perdona meno facilmente”.
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