Bezos mette il bavaglio agli editoriali del Wp
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La pagina degli editoriali del Washington Post sterza a destra per ordine del proprietario Jeff Bezos e il suo responsabile David Shipley si dimette per protesta. Il presidente Donald Trump minaccia cause alle gole profonde, mentre la Casa Bianca, dichiarata guerra all'Ap per il rifiuto di usare l'espressione Golfo d'America, si riserva il diritto di decidere quali testate avranno "l'onore" di entrare nei pool. Nel Trump 2.0 lo scontro sulla libertà di stampa in America è già arrivato al culmine.
"Gran parte del successo dell'America sta nella libertà economica e in tutto il resto", ha proclamato Bezos mettendo il bavaglio alla pagina degli editoriali del quotidiano del Watergate, che d'ora in poi per suo ordine scriverà soltanto di "libertà personali e libero mercato".
Nel 2013, acquistando il Washington Post per 250 milioni di dollari, Bezos aveva esplicitamente detto che non avrebbe interferito con la linea editoriale. Oggi il patron di Amazon ha posto a Shipley un ultimatum: accettare "al cento per cento" il nuovo corso o andarsene.
Dopo aver navigato in ottobre la doppia censura dell'editoriale a Kamala Harris cancellato per diktat dello stesso Bezos e poi in gennaio di una vignetta della premio Pulitzer Ann Telnaes con i tycoon del tech inginocchiati sotto una statua di Trump, Shipley stavolta ha preferito andarsene.
Come molti magnati del tech, Bezos si è avvicinato a Trump dopo l'elezione. E la Casa Bianca del Trump 2.0 non ha fatto mistero fin dal primo giorno della volontà di esercitare un ferreo controllo sulla stampa, in una rivincita per quella che il presidente definisce una copertura "incompetente e di sinistra" da parte dei media mainstream, mentre la Casa Bianca ha ampliato l'accesso a nuove voci - influencer, podcaster, siti - privilegiando quelle dell'area Maga.
Nel primo mandato Trump parlava dei giornalisti delle testate tradizionali e dei network (Fox esclusa) come "nemici del popolo": celebre il video amatoriale in cui, al bordo di un ring, metteva ko la Cnn. Ora però si è passati dalla retorica ai fatti. Ci sono cause legali in corso (tra i target dell'ultima campagna elettorale la Abc ha preferito patteggiare 15 milioni di dollari mentre la Cbs sembra intenzionata a seguirne l'esempio) e altre minacciate contro le fonti anonime: come quelle usate dal giornalista Michael Wolff nel nuovo libro 'All or Nothing' sulla campagna 2024 in cui si dice tra l'altro che "Melania odia Trump".
Infine le liste nere: con i reporter dell'Ap messi all'indice e l'annuncio che la Casa Bianca sceglierà uno ad uno i reporter che seguiranno Trump nello Studio Ovale e sull'Air Force One. Una duplice mossa che ha scatenato le proteste, oltre che della White House Correspondents Association, anche di reporter di Newsmax e della Fox: "Con un cambio della guardia democratico, potremmo far noi la stessa fine", ha detto Jacqui Heinrich, veterano per la rete di Rupert Murdoch, mettendo da destra la Casa Bianca in guardia dal non creare precedenti.
ansa