"Sull’Ucraina Meloni è stata coraggiosa, ma è in Ue che si vedrà cosa vuole fare davvero". Parla Calenda
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L'intervista
Secondo il leader di Azione: "Adesso la premier deve fare asse con Merz e il resto d'Europa per rispondere a Trump". E sul campo largo: “Schlein parla d’altro. Azione non starà mai con chi ignora l’Ucraina”
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“Nel suo discorso al Cpac Giorgia Meloni è stata coraggiosa. In mezzo a una platea di neofascisti è riuscita sull’Ucraina a fare il contropelo a Trump, uno che che sta chiedendo a Kyiv di pagarlo una cifra esorbitante per non essere consegnata a Putin. Adesso però la premier deve dimostrare anche con i fatti da che parte sta”. Nel giorno del terzo anniversario dall’inizio dell’invasione russa, Carlo Calenda loda ancora la presidente del Consiglio, ma la invita ora a essere coerente con le parole pronunciate sabato. Dice Calenda: “Va costruita subito una risposta europea a Trump: sull’Ucraina, sulla difesa, sui dazi. Le elezioni in Germania possono essere una svolta, Meloni deve parlare con Merz”. Nel suo videomessaggio al Cpac la premier ha parlato degli ucraini definendoli “un popolo orgoglioso che combatte per la sua libertà contro un’aggressione ingiusta”. “Parole – dice il leader di Azione – molto più nette di quelle pronunciate da Elly Schlein che non si è neppure presentata nelle piazze pro Ucraina di domenica per paura di non si sa cosa. Di Conte e dei cinque stelle? Dei pacifisti del Pd? Di Avs? La Schlein tutto al più se la deve vedere con Conte, la Meloni deve trattare da presidente del Consiglio con Trump. A Schlein sarebbe bastato molto meno coraggio per presentarsi in piazza di quello che è servito alla premier per parlare alla convention. Ma d’altronde – prosegue Calenda – tra Conte che loda Trump, Renzi che va a Miami a fare la claque del presidente americano pagato dall’Arabia Saudita e Schlein che parla di altro, questo mi sembra il triste destino del campo largo. No, non ne farò mai parte. Siamo su un crinale per cui passa la Storia, a queste condizioni Azione non ci sarà neppure per collaborazioni parlamentari e locali”.
Beghe del campo largo a parte, una reazione europea al dinamismo esplosivo del presidente americano sembra cominciare a intravedersi. Il futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz ieri ha detto che: “E’ inaccettabile che gli Usa decidano sulla testa dell’Ucraina e della Ue”. Il premier inglese Keir Starmer ha annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia e soprattutto nuovi aiuti all’Ucraina per oltre quattro miliardi di sterline. E da Kyiv anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha parlato di un nuovo pacchetto di sanzioni e di decisioni sugli aiuti all’Ucraina che dovranno arrivare presto. Il giorno da cerchiare sul calendario è il prossimo 6 marzo, quando si terrà un consiglio straordinario proprio su questi temi. “E’ da lì che si vedrà davvero cosa vuole fare Meloni: se diventare una vassalla di Trump o stare con l’Europa e l’Ucraina”, dice Calenda. “Serve un asse comune. La premier deve capire bene che Trump non rispetta chi cerca di fargli da vassallo, ma la forza: è questo l’unico linguaggio che i predoni comprendono. A Mosca, a Teheran e oggi anche a Washington. E dunque se metterà i dazi non ci sarà da promettergli nulla, dovremmo metterli, insieme, anche noi. Se non aiuterà l’Ucraina dovremmo farlo noi. Serve questo: un’Europa dura che riscopra la sua natura di grande potenza”. Eppure anche dal discorso al Cpac l’approccio della premier sembra più quello di chi vuole provare a far ragionare il presidente americano. “Temo sia inutile”, sostiene Calenda. “Basta vedere quello che è accaduto con i dazi a Messico e Canada. Non sono stati i soldati al confine a far cambiare idea a Trump, ma Wall Street che è crollata. E in fondo è ovvio che sia così. Trump è il capo di una cleptocrazia, rappresenta tutto quello che dice di non rappresentare, e cioè i grandi gruppi finanziari e industriali americani. Per questo si spaventa solo quando ‘c’è di mezzo il soldo’. Dobbiamo tenere botta, perché se ci spaventiamo anche noi avremo una crisi finanziaria, senza neppure riuscire a fermarlo”.
La posizione di Calenda sull’Ucraina non stupisce. Tra i primi a visitare il paese dopo l’inizio del conflitto, il leader di Azione ci è tornato anche la scorsa settimana, passando tre giorni a Odessa. Ha incontrato amministratori locali, ong che si occupano di istruzione dei bambini e visitato un ospedale distrutto dai russi, il luogo del bombardamento dei droni che pochi giorni fa ha lasciato la città al buio per ore. E poi ovviamente anche la cattedrale, distrutta nel 1936 dai sovietici, ricostruita e riaperta solo nel 2010 e riabbattuta dalle bombe di Putin nel 2023. La dovrebbe ristrutturare l’Italia: “Ma i fondi inviati all’Unesco non sono mai arrivati”. “Ogni volta che vado – racconta – mi colpisce vedere un posto così simile al nostro con persone che però vivono una condizione così diversa. Mi ha emozionato andare al teatro dell’Opera di Odessa e vederlo pieno per la Carmen. La differenza con quello che accade da noi è che lì quando arrivano i raid aerei tutti scendono nei rifugi anti bombe per poi risalire a vedere lo spettacolo. E’ una testimonianza commovente della forza di un popolo. Sono stremati, ma tutti dicono ‘sì, però noi non torniamo sotto i russi’. Non hanno alcuna intenzione di arrendersi, con o senza le nostre armi.
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