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Le inchieste di Milano e Palermo, il nuovo round tra magistratura e politica

Le inchieste di Milano e Palermo, il nuovo round tra magistratura e politica

Inchieste e proteste

La destra incerta se attaccare o no Sala. La sinistra divisa sulla sua difesa. E poi la sberla di Palermo. E sullo sfondo il referendum

Foto di Cecilia Fabiano/LaPresse
Foto di Cecilia Fabiano/LaPresse

“Questa inchiesta sembra un modello di supplenza giudiziaria della politica”, riflette a voce alta un esponente di spicco della minoranza del Pd. La sua impressione, fondata o meno che sia, è che la magistratura sia stata mossa più dal giudizio sulle scelte politico-urbanistiche della giunta che dall’emersione di prove di veri illeciti. Nelle stesse ore l’intero governo e il centrodestra tutto insorgono più fragorosamente che mai contro il ricorso “per salto”, cioè direttamente in Cassazione e non in appello, della procura di Palermo contro l’assoluzione di Salvini per il caso Open Arms.

Da Giorgia in giù tutti sono furibondi, si stringono intorno all’ex ministro degli Interni, e in qualche caso – per esempio Nordio – minacciano interventi legislativi per ovviare alla possibilità di ricorso in caso di assoluzione: “Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili. Altrimenti finisce come a Garlasco. La lentezza della giustizia dipende anche da questo. Rimedieremo”. Nello specifico, valutare il ricorso sarà compito della Cassazione. Ma quale che sia il verdetto finale va notato che in questo caso, proprio come in quello dell’inchiesta milanese nell’opinione degli innocentisti come il dirigente riformista in questione, l’eventuale invasione di campo della magistratura non si configura più come manovra delle toghe politicizzate per azzoppare qualche politico della sponda opposta. O almeno non solo e non soprattutto. Nel mirino ci sono specifiche scelte politiche non condivise e dunque da contrastare codice alla mano.

Un’opposizione “politica” di questo tipo, che naturalmente non esclude necessariamente l’effettiva presenza di elementi di rilievo penale, crea una dissimetria tra partiti al governo oppure all’opposizione a prescindere dall’appartenenza politica dei magistrati, per il solo fatto che a impostare le scelte politiche nazionali è il governo e non l’opposizione. Da questo punto di vista Elly Schlein è stata presa in contropiede dall’inchiesta milanese. Si è schierata in difesa del sindaco Sala, pur confermando pienissima fiducia nella magistratura, ed è una scelta che deve esserle costata essendo proprio gli alleati 5S il partito che più apertamente di tutti reclama le dimissioni di Sala. Non che quelle dimissioni non fossero invocate anche dalla Lega e dalla stessa FdI, ma non da Forza Italia, con la formula ipocrita per cui “garantisti sempre ma la giunta non è più adeguata”. Poi, con mossa decisamente abile, la premier ha rovesciato il tavolo schierandosi apertamente contro le dimissioni: “Non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti automaticamente l’automatismo delle dimissioni”. Dichiarazione d’ordinanza se applicata a un esponente del proprio schieramento, fragorosamente inusuale se adottata invece a proposito di un pezzo grosso rivale.

Certo, Giorgia sa perfettamente che l’effetto politico dell’inchiesta milanese è comunque garantito e le sue parole vanno a tutto vantaggio della sua immagine senza dover pagare alcun prezzo. Ma forse la considerazione più importante è che il caso Sala, e l’inevitabile difesa del sindaco da parte del Pd, giocheranno a suo favore nel referendum sulla giustizia, il vero passaggio cruciale della legislatura di qui alle elezioni politiche. Il caso Salvini è diverso e molto più grave. Se la Cassazione accoglierà il ricorso non si tratterà di celebrare di nuovo il processo ma di stabilire quanto tempo dovrà passare in carcere il leader della Lega e vicepremier. Anche se a destra tutti si dicono tranquilli e sicuri del verdetto, la pioggia di reazioni furiose rivela la paura di una sentenza che innescherebbe inevitabilmente un vero terremoto.

Non è affatto detto però che quell’eventuale terremoto ma anche la minaccia costituita dal ricorso vadano politicamente a vantaggio dell’opposizione. La premier gioca in casa: l’immigrazione è ovunque in occidente il primo carburante che spinge la destra. Il ricorso contro una sentenza d’opposizione, per quanto possa rivelarsi giuridicamente fondato, si presta a essere facilmente spacciato come prova d’accanimento, e del resto proprio così lo hanno descritto ieri tutti i ministri e i leader del centrodestra che si sono pronunciati in difesa dell’assolto. Simili da alcuni punti di vista, diversissimi da altri, i due casi esplosi negli ultimi giorni tirano nella stessa direzione: fare del referendum , anche a prescindere dai contenuti reali della riforma, lo showdown finale nell’eterna sfida fra la destra e la magistratura.

l'Unità

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