Veneto: la lista Zaia alle regionali fa tremare Salvini e Meloni

Il vertice di maggioranza senza accordo
A capo dell’Eni, a capo di un ministero: Salvini e Meloni hanno offerto di tutto al governatore, sempre più intenzionato a lanciare una lista civica

Il vertice di maggioranza era convocato per discutere di elezioni regionali, anche se in realtà di regione problematica per la destra ce n’è una sola, il Veneto. Al termine Antonio Tajani però nega e smentisce “Non abbiamo parlato di regionali. Abbiamo fatto il punto… È stato uno dei tanti incontri”. Tutto è possibile ma credere che per parlare un po’ di tutto si sia messo da parte il principale nodo che la maggioranza deve sciogliere oggi non è tanto facile. E se così è stato significa solo che la soluzione era troppo lontana anche solo per discuterne.
Il problema in questione è Luca Zaia. Una volta resa impossibile la sua quarta rielezione allocarlo per evitare che faccia danni nella regione in cui è popolarissimo diventa imperativo. Solo che non si sa dove metterlo: il Sace lo ha rifiutato, l’idea di affidargli un ministero è un rebus, bisognerebbe sostituire un ministro leghista e non se ne parla ma in ogni caso il cambio della guardia metterebbe l’esecutivo a rischio di rimpasto e si sa che Meloni solo a sentir pronunciare la parola mette mano al bazooka. Il diretto interessato poi non appare affatto interessato e storce il naso persino quando si azzarda l’idea, tutta da verificare, di mettere nelle sue mani l’Eni. Insomma tutto lascia pensare che Zaia voglia continuare ad avere voce, molta voce e molto alta, nel Veneto. Lui stesso, in passato, aveva del resto affermato più volte di essere interessato alla politica locale e non a quella nazionale.
Il guaio è che nel Veneto nessuno è più ingombrante di lui. Ieri ha fatto in modo di ricordare lo sgradito particolare lui stesso: “Tra milioni di veneti io sono il solo che non si possa candidare alla presidenza della regione. Posso solo candidarmi come consigliere”. Falsa modestia. Si candiderebbe infatti in una lista che porta il suo nome, e che era già in campo nel 2020 quando raggranellò, rammenta sempre il governatore, intorno al 44% dei voti. Stavolta potrebbe andare meglio, sia perché ai veneti non è andata giù l’estromissione del “loro” governatore, nonostante abbia già ricoperto l’incarico non per due ma per tre volte, sia perché l’uscente avrebbe in mente di piazzarsi in testa alla lista che già porta il suo nome e con Luca Zaia capolista le probabilità di un’impennata elettorale sarebbero elevate.
Fra i tre leader della destra non ce n’è uno a cui la sola idea non metta i brividi. Tutti, anche se forse FdI un po’ meno degli altri, dovrebbero pagare un pesante pedaggio elettorale. Inoltre, eletto consigliere a furor di popolo, Zaia acquisterebbe un potere sulla futura giunta ai confini del commissariamento e forse oltre. Dunque per tutti è essenziale dissuadere Zaia. Ma come riuscirci nessuno lo sa. La rissa sulla successione al sovrano uscente ci sarebbe stata comunque. L’eredità fa gola a tutti e probabilmente proprio prevedendo questa situazione la premier aveva tentato in extremis di permettere l’ennesima candidatura di Zaia riaprendo le porte al terzo mandato. Lei, per la verità, sembra essersi rassegnata a lasciare la roccaforte veneta al Carroccio, in cambio del solenne impegno a consegnarle nel 2028 la Lombardia in carta da regalo tricolore. Era stata lungimirante.
Proprio sul nome del candidato si sarebbe scatenato ieri nel vertice uno scontro tanto duro da consigliare di metterci subito un fermo e parlare d’altro. FdI veneta insiste per mettere in campo il coordinatore De Carlo, vincente in un braccio di ferro fratricida che aveva scosso nei mesi scorsi il partito di Giorgia nel Veneto. Salvini non sente ragioni e martella sul suo candidato, dove per “suo” si intende “non di Zaia”, Alberto Stefani. Forza Italia strepita sperando che il litigio tra i due soci maggiori premi a sorpresa il suo concorrente, l’ex sindaco di Verona Tosi. Sono un bel po’ conti senza Luca l’Oste, perché naturalmente anche Zaia ha un nome in mente, fedelissimo, in stretta continuità, uno che risponderebbe a lui prima che al segretario nazionale, Mario Conte.
Tutto era per aria prima del vertice e tutto è rimasto allo stesso punto dopo l’inutile incontro. Proprio tutto, persino la data delle sei regionali in calendario per l’autunno. Zaia dice di “tifare” per un election day che sembrerebbe ovvio. Non è così. Un po’ per le resistenze della Campania che non vuole votare in contemporanea con l’anniversario del terremoto, un po’ per ragioni imperscrutabili persino quella decisione slitta e continua a slittare.
l'Unità