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Alzheimer, quali sono i primi segnali da non ignorare?

Alzheimer, quali sono i primi segnali da non ignorare?

Vuoti di memoria, disorientamento, problemi ad esprimersi o a trovare le parole giuste, apatia: sono alcuni dei campanelli d’allarme che potrebbero preannunciare l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Anche se piccoli lapsus possono capitare a chiunque, quando iniziano a manifestarsi con una certa ricorrenza, tanto da avere un impatto sulla quotidianità della persona e dei suoi familiari, potrebbe essere il caso di chiedere il parere di un medico. Vediamo quali sono i primi segnali da non ignorare e anche quali sono i nuovi trattamenti recentemente approvati o in fase di valutazione dall’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency, Ema).

I primi segnali da non ignorare

Il sintomo più comune della malattia di Alzheimer, specialmente quando si parla delle fasi precoci di questa patologia, è la dimenticanza, come spiega a Salute Annachiara Cagnin, docente di neurologia presso l’Università di Padova. “Si tratta però di un sintomo poco specifico - sottolinea l’esperta -, nel senso che tutti noi abbiamo provato, chi più chi meno, cosa vuol dire dimenticare un appuntamento, oppure dove sono gli occhiali o le chiavi della macchina. E quindi la dimenticanza deve essere considerata allarmante quando è persistente nel tempo, quando non è legata a periodi di particolare stanchezza, stress o deprivazione di sonno, come spesso può succedere, quando ha un andamento peggiorativo nel corso dei mesi e soprattutto se ce lo fanno notare anche le persone che ci stanno vicine, come i familiari o gli amici”.

Altri segnali da non ignorare sono per esempio i disturbi di attenzione o il deterioramento della cosiddetta “memoria di lavoro”, ossia il fatto di perdere frequentemente il filo del discorso, o di ritrovarsi più spesso del solito in un punto della casa senza ricordarsi per quale motivo ci siamo andati, e così via. Anche in questo caso, specifica Cagnin, un deficit momentaneo e sporadico non deve metterci in allarme. Sono gli episodi ricorrenti e che tendono a peggiorare nel tempo che meritano di essere approfonditi insieme al medico di base o a uno specialista.

I nuovi trattamenti 2025 in fase di valutazione

Dal punto di vista delle cure per l’Alzheimer, al momento esistono farmaci che vanno ad agire sui sintomi e non sul decorso vero e proprio della malattia. La buona notizia, però, è che diversi anticorpi monoclonali pensati per ridurre l’accumulo di proteina beta-amiloide, che sembrerebbe essere quantomeno una delle cause scatenanti della malattia, sono in fase di studio. “Stiamo parlando dell’arrivo in Europa, e si auspica presto in Italia, di farmaci che non sono sintomatici, ma che agiscono modificando il processo fisiopatologico di base, purtroppo senza arrestarlo del tutto”, spiega Cagnin.

Gli addetti ai lavori li chiamano farmaci “disease modifying”, cioè modificatori della traiettoria di malattia, proprio perché riescono a rallentarla e magari a stabilizzare per qualche tempo la situazione. “Si tratta di una vera e propria rivoluzione, perché per la prima volta abbiamo in mano qualcosa che può rallentare un processo neurodegenerativo che da sempre è stato visto come non modificabile”, aggiunge la docente.

In particolare, lecanemab è stato approvato nel 2023 dalla statunitense Food and Drug Administration (Fda) e successivamente anche dall’Ema. Donanemab, invece, è stato approvato dalla Fda nel 2024 e l’Ema lo sta rivalutando a seguito di un iniziale parere negativo emesso alla fine di marzo 2025. “Adesso - spiega Cagnin - la palla è in mano all’Agenzia Italiana del Farmaco per quanto riguarda il primo ed eventualmente [in caso di approvazione da parte dell’Ema, nda] anche il secondo farmaco. Noi speriamo che a cavallo fra il 2025 e il 2026 venga definita una regolamentazione e che i farmaci diventino disponibili in Italia”.

Un altro anticorpo monoclonale in fase di studio

Inoltre, è attualmente in fase di studio un altro anticorpo monoclonale, il trontinemab. Recentemente sono stati presentati i dati preliminari relativi a uno studio di fase 1/2, per cui sono stati coinvolti 114 partecipanti, che sembrano mostrare una certa efficacia e rapidità del farmaco nel ridurre la presenza di placche amiloidi. “I risultati delle fase 2 sono particolarmente entusiasmanti, vediamo se l’efficacia verrà confermata dalla sperimentazione che sta partendo”, commenta Cagnin. Nel corso del 2025, infatti, dovrebbe essere avviata la fase 3 della sperimentazione.

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