Giuseppe Sansonna: «Un nuovo film sul Conclave? Corrado Guzzanti regista perfetto»

Giuseppe Sansonna, regista e autore Rai, nonché critico cinematografico di «Linus», il Conclave come le appare, con le categorie del grande schermo?
«Il più grande teologo italiano è stato Corrado Guzzanti. Quando impersonava Padre Pizzarro spiegava ad Andrea Purgatori: “Li facciamo magnà e dormì e crede di votare. Alla fine sistemiamo tutto noi”».
Dopo Benedetto XVI e Papa Francesco...
«Ecco, Ratzinger assomigliava all’agente Barretta impersonato da Robert Blake. Bergoglio è stato la versione bonaria di Stanlio, di Stan Laurel».
Tornando al Conclave.
«Come diceva Carmelo Bene, la Chiesa è la grande rappresentazione spettacolare della Storia: in quel luogo c’è thriller, attesa, la fumata».
Il clima in queste ore ha analogie con i racconti di pellicole particolari?
«Meglio di tutti l’ha raccontato Luigi Magni in Signori e signore buonanotte, nell’episodio Il santo soglio. Nella chiesa cinquecentesca i cardinali sono disposti a tutto per arrivare all’elezione, fino alla comparsa della figura di Felicetto, interpretato da Nino Manfredi, che finge di essere moribondo quando viene investito dai due Richelieu, e alla fine resuscita…».
Quale film ha colto di più la sacralità della guida della Chiesa cattolica?
«Quella luce si ritrova nell’immenso Michel Piccoli di Habemus Papam, girato dal regista Nanni Moretti: dimettendosi dal suo ruolo e mostrando una inadeguatezza molto umana, ha dato forma ad una dimensione di sacralità. Ricordo anche L’udienza di Marco Ferreri, con l’evocazione della bontà di Giovanni XXIII. Lì c’è l’attesa del giovane Enzo Iannacci per essere ricevuto dal pontefice e il suo sprofondare nei meandri kafkiani del Vaticano, incontrando Vittorio Gassmann, versione principe Donati, espressione dell’aristocrazia nera: il candore viene stritolato dall’oscurità. L’immagine più forte però resta quella di Piccoli perso, che sente il vuoto del proprio ruolo».
«Habemus papa» di Nanni Moretti in che contesto nasce e con che missione cineletteraria?
«Voleva raccontare, oltre il narcisismo dello stesso regista che sceglie di apparire come lo psichiatra del papa, lo spaesamento di un essere umano davanti a ruolo papale, sempre più indefinito, in un modo disgregato, con altri leader descralizzati e spesso vicini al nonsense… Invitare alla misericordia, in un contesto simile, genera una oggettiva difficoltà in chi vuole fare il bene dell’umanità».
«The Young pope» di Paolo Sorrentino?
«Lì c’era il papa estatico, l’aitante Wojtyła, sciatore e di bella presenza. Parte come un restauratore puro, ma cambia e si converte al rinnovamento interno della Chiesa. È orfano, cerca nella pace della sacralità di un’esistenza nata in solitudine. Risalta uk vuoto della contraddizione lacerante: sei il massimo del bene e del sacro, ma possiedi un ruolo anche di grande fascino. Jude Law è in questo contesto una vera icona cool».
Mentre nei talk i commentatori sembrano dei redivivi Maurizio Mosca in un eterno «Calcio-Mania» versione papale, il film «Conclave» è su Sky in questi giorni…
«È figlio della moda, non è un grande film, un po’ posticcio. Apre la questione papale alle nuove frontiere Lgbt. Appare un misto di provocazione e scontatezza».
Quale regista le piacerebbe si cimentasse nel raccontare il conclave?
«Martin Scorsese o Bong Joon-ho di Parasite: l’asiatico racconterebbe un papa inedito, che vive nei sotterranei del Vaticano e coordina tutto. Ma se dipendesse da me affiderei la pellicola a Corrado Guzzanti: racconterebbe con leggerezza un papa che non può più essere immaginato con un soffitto di cielo affrescato da Michelangelo. Chi verrà dopo Bergoglio dovrà combattere contro il tecnoliberismo. Speriamo che il cinema lo aiuti a cogliere le contraddizioni del nostro tempo, smascherando l’ultima versione del capitalismo, nemica del sacro e della Chiesa».
La Gazzetta del Mezzogiorno