Rimborso Irpef ai lavoratori impatriati, quando spetta e come ottenerlo

Il recupero delle imposte versate in eccesso è un tema quanto mai attuale, anche per i contribuenti che hanno usufruito dei benefit riservati a quanti rientrano a lavorare in Italia. Tanto attuale da finire addirittura in tribunale. Il rimborso Irpef è stato oggetto della sentenza n. 23656 del 19 agosto 2025 della Corte di Cassazione, che si è soffermata su un tema ben preciso: il recupero delle imposte che sono state versate in sovrappiù da quanti hanno beneficiano del regime agevolato riservato ai lavoratori impatriati.
La vicenda da cui ha preso origine la decisioneLa vicenda presa in esame dai giudici è partita da un caso molto particolare: un contribuente si era trasferito in Italia e aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso delle imposte che aveva versato in sovrappiù nel corso del 2018. Il soggetto in questione rivendicava il diritto a beneficiare delle agevolazioni fiscali riservate ai lavoratori impatriati anche se mancava una preventiva richiesta da parte del datore di lavoro.
A rendere leggermente problematica la situazione era stata la mancanza di una qualsiasi risposta da parte dell’amministrazione tributaria – tant’è che il contribuente aveva ritenuto si fosse venuto a creare il silenzio-dissenso.
Dopo che il diretto interessato aveva adito presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, il tacito diniego è stato annullato ed è stato disposto il rimborso Ipef. La decisione è stata successivamente confermata dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia (sentenza n. 297/2024). L’Agenzia delle Entrate ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione, contestando l’interpretazione fornita dai giudici di merito.
Come funzionano le agevolazioni per lavoratori impatriatiPrima di addentrarci nella questione del rimborso Irpef, è bene ricordare in cosa consistono le agevolazioni riservate ai lavoratori impatriati.
La misura viene applicata solo quando ne viene fatta richiesta esplicita tramite il datore di lavoro o in dichiarazione dei redditi: su questo punto a fornire delle indicazioni molto precise è la stessa Agenzia delle Entrate con la circolare n. 33/E/2020 e la risposta all’interpello n. 59/E/2020.
Le modalità attraverso cui è possibile fruire delle agevolazioni cambiano a seconda che il lavoratore sia un dipendente o un autonomo.
Lavoratori dipendentiPer poter accedere al regime previsto per i lavoratori impatriati, il dipendente deve presentare una richiesta scritta al proprio datore di lavoro. Quest’ultimo è tenuto ad applicare il beneficio previsto direttamente nella prima busta paga possibile (generalmente questo avviene a partire dal primo anno di residenza fiscale italiana del lavoratore). Dalla data di assunzione, inoltre, con una serie di operazioni a conguaglio, provvede ad applicare le ritenute sull’imponibile ridotto.
Può capitare che il datore di lavoro non sia in grado di riconoscere l’agevolazione direttamente in busta paga. A questo punto il contribuente ne può fruire quando presenta la dichiarazione dei redditi.
All’interno della certificazione unica, per i lavoratori impatriati devono sempre essere indicati i redditi da lavoro dipendente nella misura ridotta.
Lavoratori autonomiGli autonomi hanno la possibilità di accedere al regime agevolato per i lavoratori impatriati nel momento in cui presentano la dichiarazione dei redditi. In alternativa ne possono beneficiare in sede di applicazione della ritenuta d’acconto operata direttamente dai committenti nel momento in cui emettono la fattura.
Nel caso in cui dovessero optare per questa soluzione, il professionista deve presentare a ogni committente una richiesta scritta, in modo che il committente possa operare la ritenuta del 20% sull’imponibile ridotto alla percentuale tassabile (il riferimento, in questo caso, è la circolare n. 17/E/2017).
In quali casi si versano imposte in eccessoLe regole che abbiamo visto fino a questo momento ci permettono di inquadrare correttamente come funzionano le agevolazioni previste per i lavoratori impatriati. Tornando alla questione del rimborso Irpef, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che il lavoratore non ne avesse bisogno perché non aveva presentato la richiesta scritta al datore di lavoro perché gli venissero applicate le agevolazioni. Ma non solo: non aveva esercitato l’opzione in sede di dichiarazione dei redditi.
Per giustificare la propria presa di posizione, l’Agenzia delle Entrate aveva sottolineato come il regime agevolato (introdotto dall’articolo 16 del Dlgs n. 147/2015) avesse natura eccezionale: per questo era necessario rispettare puntualmente tutti gli adempimenti formali. L’omesso adempimento di uno di questi, non permette il riconoscimento dei benefici fiscali.
La risposta della Corte di Cassazione su questo punto è stata chiara: prima che venisse introdotto il comma 5-ter dell’articolo 16 del Dlgs n. 147/2015 ad opera del decreto legge n. 34/2019 non era in vigore alcuna norma che vietasse espressamente il rimborso di eventuali somme che erano state versate spontaneamente dai contribuenti.
I giudici hanno sottolineato che la disposizione non ha efficacia retroattiva. A chiarirlo è stata la legge di conversione n. 58/2019: le regole, quindi, non si possono applicare a delle annualità precedenti.
Il rimborso Irpef spetta: la decisione definitivaLa Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate.
La pronuncia dei giudici tributari lombardi era legittima. La mancata presentazione di una richiesta al datore di lavoro e la mancata opzione in dichiarazione dei redditi non determinano, in automatico, la decadenza dei benefici per i lavoratori impatriati, soprattutto quando manca una previsione legislativa chiara ed evidente in questo senso.
Questo significa che per le annualità anteriori al 2019 i lavoratori hanno la possibilità di presentare l’istanza di rimborso Irpef ai sensi dell’articolo 38 del Dpr. n. 602/1973, purché siano in possesso dei requisiti.
La Corte di Cassazione ha anche condannato l’Agenzia delle Entrate a pagare le spese di giudizio.
Siamo di fronte a un’importante pronuncia, che si va ad inserire sul solco di precedenti orientamenti, che hanno rafforzato il principio secondo cui le limitazioni introdotte dal legislatore non hanno mai un’efficacia retroattiva.
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