Il paradosso che punisce le donne: quando guadagnano più del partner cercano di rallentare la propria carriera. Perché succede

Tecniche, manager, imprenditrici. Donne con stipendi elevati, a volte superiori a quelli del partner. Eppure, in moltissimi casi, sono donne che rifiutano promozioni, declinano opportunità, evitano trasferimenti. Non per pigrizia né tanto meno indecisione, piuttosto per un difetto nell’ingranaggio sociale in cui si trovano inserite che le spinge a rallentare. È quanto emerge dalla ricerca “Guadagnare più del partner… eppure rallentare la propria carriera”, co-diretta da Hyejin Yu, docente e ricercatrice presso NEOMA Business School, condotta su un campione di 7.252 coppie eterosessuali australiane nel corso di oltre vent’anni di lavoro, che documenta un’ingiustizia silenziosa, venduta quasi per “normalità”. Le donne che guadagnano più dei loro partner continuano a disimpegnarsi dalla propria carriera, nonostante il ruolo di principali fonti di reddito familiare. La spiegazione non si trova nei conti, piuttosto nei ruoli, negli sguardi, nei simboli che regolano la vita di coppia.
"Se fosse solo una questione economica – spiegano gli autori -, i ruoli si invertirebbero insieme al reddito. Invece, le donne che guadagnano più dei loro mariti restano comunque svantaggiate, proprio come quelle che guadagnano meno”. Solo le coppie con redditi relativamente equivalenti sembrano sottrarsi a questa legge non scritta; negli altri casi, anche quando sono le principali contributrici, a “flettersi” sono sempre le donne.
Un meccanismo identitarioIl cuore del meccanismo è identitario. Il successo professionale femminile può destabilizzare la posizione sociale del partner. Quando un uomo non svolge più il ruolo di “sostegno economico” che ci si aspetta da lui, la mascolinità sembra messa in discussione. La risposta, spesso silenziosa e automatica, ricade sulla donna. "Le compagne tendono allora a fare sforzi – anche inconsapevoli – per rassicurare e preservare il partner, spesso assumendo un ruolo tradizionale da ‘angelo del focolare’ – emerge dallo studio - Così, nonostante lavori impegnativi, le donne intensificano cucina, pulizie, carico mentale”. Cui si sommano stanchezza, sovraccarico, rinunce, perché il disimpegno professionale non è un capriccio, è il conto di un equilibrio falsato.
Per leggere questa dinamica la ricerca chiama in causa la costruzione sociale del genere. In molte società l’uomo provvede, la donna si prende cura. Uno schema, questo, che viene insegnato presto, ripetuto spesso, interiorizzato a lungo. E quando è infranto genera dissonanza. "Alcune donne che infrangono questi schemi tendono a enfatizzare altri stereotipi di genere, occupandosi maggiormente della casa o definendosi madri premurose piuttosto che capofamiglia”. Un ritorno all’ordine che ha il sapore dell’autolimitazione.
Gli uomini, invece, restano al riparo da questo attrito. Che guadagnino più o meno della partner, la loro traiettoria professionale è stabile. Ma c’è un’unica crepa in questa asimmetria: quando i redditi sono relativamente equivalenti, la tensione simbolica cala e le opportunità crescono. “In queste configurazioni, le donne hanno maggiori possibilità di progredire professionalmente - osserva lo studio -. Non è un miracolo, è la semplice conseguenza di una ripartizione più equilibrata dei compiti e di minori necessità di compensazione domestica”.
Uguaglianza fragile e classistaC’è però anche da dire che l’uguaglianza, quando c’è, è fragile e classista. Nelle classi medie e alte gli uomini partecipano di più alla cura e assumono ruoli percepiti come femminili senza sentirsi minacciati. Nei contesti più modesti le norme restano più rigide: “Gli uomini si dedicano meno alle faccende domestiche e sentono maggiormente il bisogno di svolgere il ruolo di ‘sostegno economico’ per sentirsi veri uomini, agli occhi propri o degli altri”.
Il risultato è devastante e ricorsivo, perché le disuguaglianze economiche alimentano anche una disuguaglianza nei compiti, che a sua volta frena la carriera delle donne. Una catena che, sottolinea lo studio, soggioga solo le donne, persino quando sono loro a tenere in piedi il bilancio familiare. Rinunciano a promozioni, evitano trasferimenti, “rassicurano” per non destabilizzare. La vera domanda, allora, non è perché molte donne rallentino, ma perché si continua a pretendere che siano loro a farsi più piccole per proteggere un’idea fragile di virilità. Idea che, peraltro, detto senza peli sulla lingua, non sta scritto da nessuna parte alimenti per forza la felicità e il senso di soddisfazione degli uomini, anzi…
Luce