Un giorno tutti i complici diranno di essere stati contro il genocidio

Il massacro di Gaza
Davanti a questo orrore abbiamo necessità di recuperare la coscienza storica e ricordare quando nel 2014 abbiamo fatto finta di niente dinanzi a un giornale israeliano, che pubblicava un articolo con le foto dei bambini palestinesi, scrivendo “gli esplosivi del futuro”.

La poetessa Wislawa Szymborzka, nella poesia Vietnam, scrisse: «Questi sono i tuoi figli? -Sì». Da questi versi arriviamo all’oggi, dove ci sentiamo chiamati a dire “no” a un pezzo di storia ignobile, che non può accadere sotto gli occhi della contemporaneità e non può ammantarsi di scuse edulcorate dinanzi al genocidio di un popolo. E proprio in questo momento, mentre un sussulto sembra smuoversi per le piazze, vogliamo citare un libro che, in questi mesi, ci pesa, col suo titolo, come un macigno: Un giorno tutti diranno di essere stati contro. Omar El Akkad, tradotto in Italia da Feltrinelli, è nato al Cairo, ed è poi approdato negli Stati Uniti passando per Doha e per il Canada.
Nella sua esperienza professionale ha seguito la guerra in Afghanistan, i processi di Guantánamo, le rivolte delle cosiddette «primavere arabe», e i movimenti Black Lives Matter. Ma in questo libro appena citato non è un cronista, è un semplice uomo, che ha creduto – come tanti di noi – nella promessa occidentale di libertà e giustizia per tutti e che ora, di fronte al massacro di Gaza, scrive la sua indignazione verso i due occidenti, quello europeo (sempre più in ritirata, sottomesso e incapace di diplomazia) e quello oltre l’Oceano, prigioniero del linguaggio violento e complice di tante drammatiche storie, che peseranno sulla Storia futura.
Scrive El Akkad: «Come sempre, saranno i morti a pagare il debito morale del massacro. All’inizio di questa campagna, una delle giustificazioni addotte più spesso era l’assurda teoria, secondo cui i palestinesi di Gaza sarebbero stati puniti collettivamente per aver votato Hamas. È praticamente inutile sottolineare che la maggior parte dei gazawi è troppo giovane per aver votato Hamas alle ultime elezioni, o che la punizione collettiva di una popolazione civile, per le sue scelte politiche, sarebbe soggetta a uno standard di controllo molto più raffinato se quella popolazione non fosse un gruppo politicamente privo di potere e per di più composto da persone con la pelle scura. Inutile sottolineare che Hamas è stato, per anni, finanziato dal governo israeliano per una questione strategica, cioè quella di mantenere al potere un’entità che ne condivideva, almeno in parte, il disprezzo per la pace o per la soluzione dei due Stati, o che l’occupazione e il regime di terrore inflitti ai palestinesi precedono di molto la creazione di Hamas». Non abbiamo bisogno di semplificazioni, avremmo bisogno tutti di “complessificare” maggiormente quello che abbiamo sotto gli occhi per poter scorgere le ipocrisie non solo di Israele, non solo del suo spietato leader, ma di tutto un Occidente in ritirata.
Davanti a questo orrore abbiamo necessità di recuperare la coscienza storica e ricordare quando nel 2014 abbiamo fatto finta di niente dinanzi a un giornale israeliano, che pubblicava un articolo con le foto dei bambini palestinesi, scrivendo “gli esplosivi del futuro”. E poi, sette mesi prima di quel famigerato 7 ottobre del 2023, abbiamo fatto finta di niente davanti a un altro articolo israeliano, che titolava: «Quando un genocidio è ammissibile…». E abbiamo fatto finta di niente quando Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, ha detto di star lottando contro “gli animali”. Torna in mente Ibrahim Halabi, originario di Aleppo, insegnante a Gaza per diversi anni, morto in questo genocidio cinque mesi fa (da quanto si riesce ad apprendere dalla sua famiglia, al momento dispersa). Il professore Halabi diceva di essere innamorato della filosofia nata in Occidente. Citava un frammento di Nietzsche, che, in queste ore, dovremmo rileggere, accanto al testo di El Akkad. Scrive il filosofo: «Qual è il godimento supremo per uomini che vivono nello stato di guerra di quella piccola comunità continuamente in pericolo, in cui domina la severa eticità? […] Il godimento della crudeltà. L’agire del crudele rallegra la comunità, che una volta tanto abbandona la tetraggine della continua paura e della continua cautela».
Che intendeva dire il professor Halabi citando Nietzsche, se non che alcuni gruppi politici hanno instaurato l’idea di law and order per ammansire tutti e, a volte, scuotere il torpore delle coscienze con il tragico piacere della violenza? Abbiamo il testo di El Akkad davanti a noi, i cortei in giro per l’Italia, gli studenti che hanno disertato, con responsabilità civile, le aule universitarie…. Abbiamo il ricordo delle parole Halab, che ha perso la vita mentre era in fila attendendo il cibo…Non possiamo dire di non sapere. È tutto sotto gli occhi. Non potremo fare le anime belle, un giorno, ricordando questo genocidio, definito tale anche dagli ispettori incaricati dall’Onu. Abbiamo bisogno di investire nella solidarietà, invece che nella distruzione. Abbiamo bisogno di sapere come stanno davvero le cose. Come ha detto ieri papa Leone, i governanti che si preoccupano davvero del loro popolo, lavorano per la pace.
*Docente di Pedagogia generale e sociale (Università Lumsa, Roma)
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