L’Europa prigioniera di von der Leyen: Ursula vuole armamenti che non servono

UE ingabbiata
Lo scudo che la presidente della Commissione Ue vuole installare a Kiev dominerà presto con il suo truce volto autoritario tutte le cancellerie della vecchia Europa

Con a fianco Ursula, all’ex banchiere centrale tocca per regola d’ingaggio il compito di sferzare l’Europa: in altre parole, esibire il suo bazooka scarico rivolto a Cina e Russia. Quando Draghi scandisce che nel sonnolento continente “i progressi potrebbero dipendere da coalizioni di Stati volenterosi”, chiarisce fin troppo bene dove lo porta il cuore.
È infatti proprio questa evocazione di “azioni straordinarie” a dare fiato all’escalation bellica, che costituisce esattamente il principale ostacolo per un recupero di competitività da parte del vetusto gigante europeo ormai inginocchiato. Sterili pertanto si dimostrano le esortazioni a spezzare finanche i “tabù di lunga durata”, ad infrangere limiti autoimposti caldeggiando massicci aiuti e investimenti pubblici, a siglare una cooperazione rafforzata, a concedere il nulla osta ad un processo decisionale accelerato libero dal vincolo della unanimità. Tutti suggerimenti che si riducono a chiacchiera senza la rimozione della causa immediata della sofferenza dell’Unione: la guerra.
L’Ue – lo deve ammettere pure Draghi – è il maggiore compratore mondiale di gas americano. E, per giunta, la Baronessa nel ruolo di mezzana ha assunto l’onere aggiuntivo di impegni di spesa per 750 miliardi di dollari con lo Zio Sam. Un salasso, eufemisticamente definito però un accordo commerciale negoziato. C’è da tremare per gli incubi monetari incombenti e per i tagli inevitabili con le armi che inghiottiranno il 5% del Pil, ma per Draghi non vale la pena di preoccuparsi. Dirottare illimitate risorse al tycoon d’America “è un’opportunità”. Per gli europei il prezzo del Gnl a stelle e strisce è superiore del 90% rispetto a quello praticato negli Usa, ma – anche qui – nessun allarme. Nel disegno del conferenziere a puntate, il problema dei costi insostenibili si risolve ricorrendo all’acquisto collettivo delle materie strategiche al posto dell’accaparramento isolato dei beni paese per paese.
Dopo aver riconosciuto il nesso tra i ritardi strutturali nelle nuove tecnologie, soprattutto nell’intelligenza artificiale, e l’eccessivo esborso delle aziende per l’energia, Draghi compie un’acrobazia logica. Egli non indica la sola condizione razionale per il rilancio, ossia abbandonare il prima possibile l’economa di guerra, ma al contrario esalta la bellezza della “capacità di difendersi”. Non rimane allora che salutare la ineluttabile conversione del welfare state in warfare state perché, a suo dire, “il confine tra economia e sicurezza è sempre più sfumato”. Oltre che con la Russia, il banchiere di guerra ce l’ha con la “sovraccapacità della Cina” che “ha invaso l’Europa”. Vista “la dipendenza dai suoi metalli critici”, diventa arduo per Bruxelles attivare le sanzioni che Pechino merita per via del sostegno dato a Mosca. Di normalizzazione delle relazioni commerciali con l’Oriente Draghi non vuole sentir parlare. Ai vantaggi tangibili e alle mutue convenienze preferisce il proclama ideologico. Occorre in gran fretta acconciarsi a un autolesivo capitalismo politico e abbattere il surplus commerciale attualmente favorevole al Dragone (è in crescita del 20%).
Le dinamiche reali, misurate dal calcolo economico, svaniscono. L’oratore di professione reclama un supplemento di anima e stigmatizza ogni mollezza verso il blocco autocratico. Non importa, come Draghi stesso asserisce, che Trump abbia “imposto i dazi più elevati dall’era Smoot-Hawley”, cioè dal 1930, colpendo ulteriormente l’andamento delle imprese. Il tornaconto per le industrie può indietreggiare davanti al ripristino della sovranità in terra, mare e aria, che esige la prosecuzione sine die della suicida economia di trincea. Mentre una élite tecno-liberale in disarmo mentale, che in testa ha solo l’elmetto, esulta per l’operazione “Sentinella dell’Est” e accenna addirittura alla ecatombe2 / 2planetaria per qualche drone piovuto su una piccionaia in Polonia, a Parigi al cospetto dell’Eliseo privo di legittimazione riprende la marcetta lepenista, a Londra sfilano decine di migliaia di “putiniani”, a Berlino i russofili di AfD triplicano i consensi. E purtroppo non è che l’inizio. Il “porcospino d’acciaio”, che la Baronessa rampante intende installare a Kiev, dominerà presto, con il suo truce volto autoritario, in tutte le cancellerie della vecchia Europa.
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